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MESSINA- Le Partecipate, debiti e presunti crediti... | |
L'analisi di Gino Sturniolo condivisa dall'OR.S.A. | |
Le società partecipate sono state per anni rifugio
per l’accumulo di debiti. Ad esse ha fatto ricorso la politica per
continuare a lucrare sul pubblico. L’emersione dei debiti contenuti nei
bilanci delle società partecipate è stata così una delle ragioni
fondamentali della via del dissesto per parecchi enti locali. Il ruolo
giocato dalle perdite delle Società di trasformazione urbana del Comune
di Parma è esemplare da questo punto di vista. Il Comune di Messina non
ha fatto eccezione e il caso di Messinambiente è stato preso come il
simbolo della cattiva gestione che ha condotto l’azienda in
liquidazione. L’ATM, al contrario, è stata portata a modello per
la rinascita della città, ma a ben guardare le cose sono emerse nella
loro verità e quello che veniva narrato come un percorso virtuoso di
risanamento aziendale, unico fiore all’occhiello per un’amministrazione
(quella guidata da Accorinti) per il resto totalmente fallimentare, è
apparso, realisticamente, come un bel racconto cui tanti hanno voluto
credere. In effetti, nel caso della società del trasporto pubblico
locale messinese l’accumularsi dei debiti è stato coperto, almeno in
parte, da un incremento dei crediti tutto da verificare. Nel bilancio consuntivo 2016 dell’ATM, l’ultimo
approvato, i crediti ammontano a 34.006.151 euro.
Dal 2013, anno di insediamento dell’amministrazione Accorinti, si
assiste ad incremento progressivo. Nel 2013 essi erano, infatti,
19.451.712, nel 2014 19.589.779 e nel 2015 28.604.151. Il credito è così
suddiviso: 2.839.779 verso clienti, 7.690.077 verso controllante
(Comune), 3.903.766 sono crediti tributari e 19.573.529 verso altri. A
10.218.636 ammontano i crediti per mancata contribuzione sul
chilometraggio (in questa logica un po’ meschina di far chilometri
magari con gli autobus vuoti per prendere soldi pubblici) da parte della
Regione e 9.810.636 sono quelli relativi alla mancata erogazione da
parte dello Stato degli oneri derivanti dal CCNL autoferrotranvieri ex
l. 58/05, l. 296/06 e l. 47/04. La prima di queste ultime due voci era
di 5.307.469 nel 2013, 5.790.936 nel 2014 e 8.457.521 nel 2015. La
seconda voce era di 6.599.919 nel 2013, 6.651.474 nel 2014 e 8.352.021
nel 2015. Il progressivo incremento di questi crediti iscritti a
bilancio tradisce la loro difficoltosa riscossione. Ciò che, però, stupisce ulteriormente è la
riduzione progressiva dell’ammontare del Fondo rischi sui crediti,
obbligatorio per legge a copertura della eventuale inesigibilità. Quello
relativo ai crediti versi clienti passa progressivamente da 764.026 euro
nel 2013 a 58.575 nel 2016. Il Fondo rischi su altri crediti, invece,
nel 2013 ammonta a 1.072.056 per arrivare gradatamente a zero nel 2016.
Nell’ultimo bilancio consuntivo viene esplicitamente scritto che le
differenze tra valore iniziale e valore a scadenza non siano rilevanti
finanziariamente. Inutile
aggiungere che sono gli stessi revisori dei conti dell’ATM a segnalare
il consistente incremento dei crediti e dei debiti tributari e
previdenziali. Per tanto tempo abbiamo chiesto un audit del debito
del Comune di Messina. Non tanto o non solo per verificarne con certezza
l’entità, quanto per individuarne la parte illegittima, ingiusta, odiosa
e, magari, provare ad individuarne le responsabilità e a non risarcirlo.
Alla fine l’audit ce lo siamo dovuti fare da soli e abbiamo dimostrato
come fossero fantasiose le descrizioni narrate dall’amministrazione.
Appare comico che sia proprio l’ex assessore Cacciola oggi a chiedere un
audit per i debiti dell’ATM. Chissà, forse potrebbe non convenirgli. In
ogni caso, una indagine più approfondita sull’andamento della sua
gestione renderebbe visibile i modesti risultati ottenuti. Basti pensare
che il rapporto tra ricavi e costi di produzione, che per legge dovrebbe
essere non meno del 35% e che nella media nazionale delle aziende di TPL
nelle quali il pubblico abbia almeno il 30% delle quote è del 38%, per
l’ATM è del 17,4% se ci mettiamo dentro anche i titoli di sosta. Se si
considerasse solo lo sbigliettamento il risultato sarebbe del 9,4%. A
prendere per buoni i bilanci pubblicati sul sito dell’azienda ci sarebbe
un modesto incremento del 3,2% dal 2013 e un decremento del 1,6% dal
2010. E’ evidente che il trasporto pubblico locale debba
avere un costo sociale. E’ così per tutti i servizi pubblici che non
possono e non devono essere considerati fonte di profitto perché la loro
finalità è migliorare la vivibilità della città e sostenere le fasce di
popolazione che non potrebbero accedervi se si facesse un mero calcolo
entrate/uscite. Questo, però, non vuole dire che i soldi pubblici
debbano essere spesi in maniera sconsiderata. Sono risorse preziose che,
se investite in un servizio, magari vengono sottratte ad un altro.
Inoltre, la migliore garanzia di tenuta delle aziende pubbliche sta
nella loro qualità. E’ evidente che averle rese, a causa di corruzione,
clientele e sperpero di denaro pubblico, carrozzoni insostenibili apre
la strada a proposte di privatizzazione. D’altronde, una società può
essere considerata pubblica solo se sottoposta ad un reale controllo
pubblico. Società pubbliche in mano a consorterie partitiche e gruppi
d’affari collaterali al pubblico sono da contrastare tanto quanto quelle
private. Nei fatti, sono pubbliche solo formalmente. Il dibattito su tram sì/tram no va inquadrato
dentro questa prospettiva. Sostenere, come qualcuno di recente ha fatto,
che il tram non sarebbe in perdita in quanto a fronte di uno
sbigliettamento di 800.000 euro e un costo complessivo operativo di 5,4
milioni di euro incasserebbe 1,2 milioni di contributo regionale,
230.000 euro dal Ministero e 3,9 milioni dal Comune è singolare. E’
evidente che se ci metti dentro un’enorme quantità di risorse pubbliche
il bilancio del singolo servizio appare in attivo, ma questo non ha
nulla a che fare con la sua sostenibilità economica. A zero stanno pure
le posizioni a carattere ideologico di difesa del tram a prescindere. Il
tram ha un senso se libera la città dal traffico veicolare, se la rende
più vivibile. Se, con l’impatto che ha
in termini di occupazione suolo si aggiunge alle auto, se le
rimpicciolite vie del centro sono occupate dalle macchine in tripla fila
e da autobus che camminano paralleli alla direttrice del tram, non ha
più senso, diventa un’emorragia finanziaria senza contropartite in
termini di vivibilità. Questa verrebbe garantita da una forte
disincentivazione del traffico veicolare nel centro città, da un
rafforzamento della direttrice del tram, cui andrebbero aggiunti gli
autobus elettrici, che dovrebbe essere raggiunta dai bus che servono
soprattutto le zone periferiche e i villaggi. Sarebbe una sfida, per chi
ha il coraggio di assumersela, che forse potrebbe mettere insieme
sostenibilità finanziaria e ambientale. |
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Luigi Sturniolo | |
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